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Nuovi media e regole

25 Nov

Si è parlato molto, e si continua a parlare, dei vari episodi di bullismo giovanile che vengono ripresi da videofonini e fotocamere per poi essere pubblicati su internet, consentendo così una rapida diffusione di questi video e generando – secondo il ministro dell’Istruzione Fioroni – il rischio emulazione. Il fenomeno sta assumendo proporzioni colossali (basta contare quanti episodi vengono citati dagli organi di informazioni ogni giorno), tanto che molti hanno già pensato di criminalizzare Google Video, Youtube, Videofonini e tutti gli strumenti che consentono questa diffusione indiscriminata di contenuti di pessimo gusto. Grave errore.

L’ormai famosissimo video girato nella scuola torinese sta guadagnandosi una vasta e inattesa eco: nelle ultime ore è arrivata la notizia della denuncia ai danni di Google Italia con una perquisizione (perquisiscono Internet?) e l’iscrizione nel registro degli indagati di due legali rappresentanti. Ai due è stata contestata la mancanza di vigilanza sui contenuti diffusi da Google Video, ipotizzando una fattispecie di reato vicina alla complicità dei suoi responsabili con gli utenti che hanno messo online il video.

Una news tratta dal Corriere riferisce: “Fin qui tutte le persone sentite a verbale hanno affermato di non aver la disponibilita’ del server che immette le immagini sul web perche’ il server sta in America”. A leggere queste righe sembra che coloro che sono stati interrogati abbiano addotto scuse puerili e tipicamente da scaricabarile. Fortunatamente c’è la possibilità di capire meglio le cose, leggendo quanto ha scritto Stefano Hesse:

“In relazione alle recenti dichiarazioni a me attribuite dalla stampa, relativamente alle indagini effettuate sul video della scuola torinese, mi preme evidenziare l’incompletezza di tale frase (“ Google Italia non provvede a controllare nulla poichè i dati si trovano su server esteri“), che attribuisce al sottoscritto e a Google Italia una posizione di distacco e direi quasi menefreghismo che ovviamente non rispecchia in alcun modo il nostro operato.

Oltre a evidenziare la completa solidarietà, mia personale e di tutta Google, al ragazzo oggetto del video e alla sua famiglia, ribadisco innanzitutto la nostra totale disponibilità e cooperazione con le Autorità e correggo l’errata frase a me attribuita: le attività relative a Google Video vengono effettuate da personale che non risiede in Italia, quindi noi localmente non abbiamo accesso diretto al contenuto, motivo per il quale abbiamo immediatamente contattato il team che si occupa di questo prodotto, lavorando a stretto contatto con chi si occupa delle indagini. L’estrapolazione di quelle poche parole ha evidentemente generato un equivoco che lede in maniera ingiusta l’immagine di Google Italia.

D’accordo: quel video, su Google, è decisamente rimasto per troppo tempo (oltretutto inserito in una categoria, “video divertenti” a dir poco impropria). Però c’è un fatto positivo, quello stesso video ha offerto una testimonianza di un fatto che avrebbe potuto rimanere insabbiato. Come in un altro caso reso famoso dalle cronache: il video del motociclista folle che ha percorso la A7 a 300 all’ora, la cui vanagloria gli è costata cara, dato che il video è stato messo online dallo stesso motociclista (che ha però negato di esserne il protagonista, nonostante alcune prove al vaglio degli inquirenti), identificato dalla Polizia Postale proprio grazie al video.

Ora, è chiaro che i principali responsabili, nel caso del video della scuola torinese, sono coloro che hanno girato il video e l’hanno messo online. E certo sarebbe opportuno che esistesse un controllo reale (magari preventivo) sui contenuti onde evitare proprio ciò che è accaduto in questi giorni.

Il problema è la mole di contenuti che viene accolta quotidianamente dal servizio incriminato, che non permette certo a chi deve vigilare di agire con tempestività. La quantità di video pubblicata ogni giorno è impressionante ed è sicuramente difficile stare dietro a tutto ciò che arriva.

Il problema di fondo sembra essere una mancanza di regole generalizzata: la Rete oggi sembra essere una “terra di nessuno” (ma leggi e regole ci sono, manca forse un’applicazione più efficace), e non può sottrarsi ad una regolamentazione, come quella a cui sono assoggettati i media “tradizionali” (stampa, radio, TV). Forse non è semplice (e forse nemmeno pensabile) applicare ad Internet le stesse regole, nel “mondo virtuale” le cose funzionano diversamente dal “mondo reale”. Ma l’esigenza di far applicare una regolamentazione esiste, perché nell’uno e nell’altro vivono e lavorano esseri umani, e qualsiasi cosa avvenga nell’uno e nell’altro non si può prescindere dal rispetto della dignità umana.

 
9 commenti

Pubblicato da su 25 novembre 2006 in media, Mondo

 

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9 risposte a “Nuovi media e regole

  1. aldo

    25 novembre 2006 at 21:45

    Insomma, è ridicolo accusare Google, siamo d’accordo.
    Però è vero anche che ci vogliono delle regole: non si può lasciare che tutti facciano un po’ come gli pare.
    Se un giornale pubblica un’idiozia, scattano le sanzioni. Se un personaggio televisivo va contro le regole, lo sbattono fuori (vedi Grillo). Se una rete televisiva non rispetta la par condicio, scatta la multa.
    Se Google pubblica tra i “video divertenti” un video porno, oppure una violenza sessuale, oppure il pestaggio di un disabile o di un uomo di colore, non deve succedere niente?

     
  2. aghost

    25 novembre 2006 at 23:20

    a me il problema pare realtivamente semplice: chi pubblica si assume le responsabilità, punto.

    Non Google ovviamente, che è uno strumento e non potrebbe mai controllare a priori ne a posteriori milioni di file, ma chi materialmente immette in rete il file.

    E’ l’unico modo mi pare, non ci sono soluzioni alternative proponibili, se non quella di un grottesco, ancorché impossibie, controllo preventivo

    Io dico: tutti possono pubblicare tutto, assumendosene la responsabilità.

     
  3. Irto

    25 novembre 2006 at 23:39

    secondo me non basta.
    e’ un po’ come dire “tutti possono fare tutto, assumendosene la responsabilita’…”.
    di fatto sappiamo che non puo’ funzionare: c’e’ gente che ruba e uccide. c’e’ chi va in autostrada oltre i limiti, può causare incidenti, fuggire e farla franca.

    un servizio come google video (cito google per semplificare) non puo’ lasciare che i suoi utenti facciano tutto cio’ che gli pare.
    oltretutto potrebbe non essere facile identificare chi ha messo on line un video. e in quel caso, la responsabilita’ di tutte le possibili conseguenze a chi andrebbe?

    sono d’accordo con dario che sia difficile applicare delle regole, e che la volonta’ di fioroni di punire google sia una vera assurdita’, ma qualcosa bisogna pur fare.

     
  4. max

    26 novembre 2006 at 14:11

    Aghost,

    io sono d’accordo con te. ma e’ giusto che non esista un controllo? google e’ gratis ma ci sono servizi a pagamento che esercitano un controllo su tutto cio’ che entra.

    sono a pagamento, per cui possono permettersi di mettere delle persone a verificare tutti i contenuti in upload. secondo me, anche se google e’ gratis, potrebbe permettersi di fare la sessa cosa.

    anche i blogger possono moderare i commenti di chi scrive. ora tu mi dirai che tra un blogger e google c’e’ una bella differenza in termini di quantita’ di contenuti da analizzare. ma chi ha chiesto a google di istituire quel servizio?
    google doveva istituirlo dando delle garanzie di vigilanza e non lo ha fatto per niente.

     
  5. aghost

    27 novembre 2006 at 08:34

    io credo sia impossibile controllare tutto quello che viene pubblicato, a meno di non snaturare totalmente il servizio e farne qualcos’altro.

    E poi, chi controlla cosa? Il controllo preventivo si presta sempre all’arbitrio. Sul video incriminato, io potrei anzi ribaltare il concetto e dirti che proprio la pubblicazione di quel video ha sollevato il problema del bullismo. Qualunque cosa si presta sempre a più intepretazioni, anche opposte. Basta con questa pretesa di controllare tutto, ciascuno è responsabile di quel che fa, la gente valuterà quel che vede o legge secondo coscienza, e trarrà da sola, una volta tanto, le conclusioni.

    Una volta l’accesso ai media era rigorosamente controllato e regolamentato, ma internet ha sovvertito tutte le regole abbattendo le barriere: tutti possono pubblicare quel che gli pare, e io credo sia giusto. Questi pseudo scandali sono solo dei pretesti, c’è sempre qualcuno che vorrebbe regolamentare qualcun altro, ieri era l’ordine dei giornalisti a dare addosso ai blogger ch sfuggono al loro controllo, oggi i neo-moralisti vorrebbero decidere cosa possiamo e dobbiamo vedere. E’ sempre la solita vecchia storia.

     
  6. Dario

    27 novembre 2006 at 09:15

    Come detto sopra, un controllo preventivo sarebbe pressoché impossibile.
    Per risalire alla responsabilità della messa online di contenuti come quelli di cui stiamo parlando (che è poi quella che, a mio avviso, ha rilevanza), la soluzione più verosimile sembra quella che consente di identificare (dal punto di vista digitale) l’utente che l’ha fatto, con la registrazione del suo IP o con modalità analoghe.
    Trovo a dir poco inadeguata l’idea, che ho letto da qualche parte, di risalire all’identità di un utente tramite username + password + codice fiscale: semplicemente perché mi basta conoscere luogo e data di nascita di qualcuno per comporne il codice fiscale in modo pressoché esatto, e di conseguenza mi potrei spacciare per lui senza grossi problemi.

     
  7. aghost

    27 novembre 2006 at 11:02

    E allora forse si dovrebbe (non che mi piaccia molto come idea) stabilire un “documento d’identità digitale”. Del resto, nella vita reale noi tutti dobbiamo avere un documento d’identità, forse bisognerebbe averlo anche sulla rete. Questo taglierebbe la testa al toro credo: ciascuno si assume la responsabilità di ciò che fa.

    Sarebbe comunque sempre meglio che la “libertà vigilata” che vorrebbero imporci o peggio ancora la censura preventiva

     
  8. Luca

    27 novembre 2006 at 21:49

    Non basta la registrazione dell’IP come metodo di identificazione?